FEDE E RELIGIONE,
le due ali per la contemplazione libera della verità


Di don Graziano Borgonovo


Fides et ratio, fede e ragione, è il titolo dell'Enciclica che il Santo Padre Giovanni Paolo II ha pubblicato poche settimane or sono nel ventennale del suo pontificato. Anziché presentarne analiticamente i contenuti, è parso qui più utile ricorrere alla testimonianza di un uomo, da noi molto distante nel tempo, nel racconto della cui esperienza si compendiano e prendono calore vitale l'ansia di ricerca della verità ultima (ciò che è l'esigenza fondamentale della ragione di ogni uomo di ogni tempo) unita all'incontro con la verità ultima finalmente svelata (ciò che accade nell'atto di fede, atto che rende pienamente libero colui che lo pone). "Nella fede", infatti, "la libertà non è semplicemente presente: è esigita. È la fede, anzi, che permette a ciascuno di esprimere al meglio la propria libertà", perché "è nel credere che la persona compie l'atto più significativo della propria esistenza; qui, infatti, la libertà raggiunge la certezza della verità e decide di vivere in essa" (Fides et ratio, n. 13. D'ora in poi si userà la sigla FR). Ci porremo dunque in ascolto di un grande Padre della Chiesa, sant'Ilario di Poitiers, per cogliere, nel cammino della sua ricerca, la "proprietà nativa" della nostra ragione, quella di "interrogarsi sul perché delle cose" (FR, n. 3) e di "scopertine/coprire la verità ultima dell'esistenza" (FR, n. 4). Notevole è la modernità di questo gallo romano del IV secolo. Niente infatti assomiglia alla nostra società più dell'universo mentale delle élites dell'Impero romano prossimo al tramonto, nel suo miscuglio di materialismo, scetticismo e sincretismo (cfr. FR, nn. 86 91). Oggi come allora, per simile approccio nichilista all'esistenza, "l'esistenza è solo un'opportunità per sensazioni ed esperienze in cui l'effimero ha il primato" (FR, n. 46). Semplicemente, ciò che allora condizionava ambienti urbani ancora circoscritti, oggi condiziona tutti indistintamente. Ilario, resosi presto conto dei limiti di una società del piacere immediato e attanagliato dall'angoscia del nulla (cfr. FR, nn. 26 27), si mette in cerca del senso della vita (cfr. FR, n. 33). Attraversati materialismi tanto assurdi quanto esistenzialmente ìnsostenibili e paganesimi degradanti in scientismo dell'occulto, scopertine/copre, nell'insegnamento biblico degli Ebrei (cfr. FR, nn. 16 21), il Dio vivente che trascende tutte le cose ed è in esse presente, a tutto interiore ed esteriore, centro al di là di ogni centro, "Signore della bellezza" svelato dalla bellezza del mondo (cfr. FR, n. 19). Soltanto il Vangelo del Verbo fatto carne (cfr. FR, nn. 7 11 e 22 23), il Vangelo della risurrezione della carne, può però dargli la sicurezza che non sarà "ridotto al nulla", lui, Ilario, persona insostituibile, amato e salvato nella totalità del suo essere, anima e corpo, per mezzo della congiunzione della grazia con la sua libertà (cfr. FR, nn. 33 34). Quanto fede e ragione siano amiche nella struttura propria e nella dinamica di sviluppo della persona umana lo vediamo qui magnificamente in atto.

"Mi sono messo in cerca del senso della vita. Ricchezza e agi presentano dapprima un'attrattiva... Tuttavia, la maggioranza degli esseri umani, spinti dalla loro stessa natura, hanno scopertine/coperto che l'uomo ha qualcosa di meglio da fare che rimpinzarsi e ammazzare il tempo. All'uomo la vita è stata data per compiere un'opera valida, per esercitare un'arte qualificata. Non è possibile che gli sia stata data senza un guadagno per l'eternità. Come altrimenti stimare dono di Dio una vita così rosa dall'angoscia, ostacolata da tante contrarietà e che di per se stessa non può fare altro che logorarsi, dai balbettii della culla ai vaneggiamenti della vecchiaia? Ecco gli uomíni che hanno messo in pratica la pazienza, la castità e il perdono. Vivere bene significava per loro agire e pensare bene. Poteva il Dio immortale darci una vita senza altro orizzonte che la morte? Poteva ispirarci tanto desiderio di vivere, se questo non doveva approdare ad altro che all'orrore della morte? (...)

Allora ho cercato una migliore conoscenza di Dio... Parecchie religioni ammettono l'esistenza di varie famiglie di divinità. Si immaginano dèi maschi e dèi femmine e indicano le discendenze di codesti dèi che nascono gli uni dagli altri. Altre religioni affermano che esistono divinità maggiori e divinità minori, con attributi diversi. Certi pretendono che non c'è affatto Dio e venerano la natura che, secondo loro, deve la sua esistenza all'effetto di un gioco e del caso. I più tuttavia ammettono l'esistenza di un Dio, ma lo stimano indifferente verso gli esseri umani...

Stavo riflettendo su codesti problemi quando scopertine/copersi dei libri che la religione ebraica dice essere stati composti da Mosè e dai Profeti. Vi trovai questa testimonianza che il Dio creatore rende di se medesimo in questi termini: "lo sono Colui che sono" e: "Ecco quello che dirai ai figli di Israele: Colui che è mi ha mandato a voi" (Es 3,14). Fui pieno di ammirazione per questa definizione perfetta che traduce in parole intelligibili l'incomprensibile conoscenza di Dio. Niente meglio dell'essere suggerisce Dio. Ciò che non può avere né termine né inizio... E poiché l'eternità di Dio non può rinnegare se stessa, Dio, per affermare la sua inaccessibile eternità, non ha avuto bisogno d'altro che di affermare solennemente che Egli è. Ma occorreva riconoscere anche l'opera divina...

"Egli tiene il cielo nel suo palmo e la terra nel palmo della sua mano" (Is 40,12); e più oltre: "II cielo è il mio trono e la terra lo sgabello dei miei' piedi... La mia mano non ha forse fatto tutte le cose?" (Is 66,1 2)... Le immagini prese in prestito dalle cose create significano che Dio esiste in esse e fuori di esse, che Egli le trascende e le pervade, che Egli supera e abita tutte le cose: la mano e il palmo della sua mano simboleggiano la potenza della sua divinità che si svela. II trono e lo sgabello indicano che Egli domina sulle cose esteriori perché è ad esse interiore; nello stesso tempo le avvolge e le rinchiude all'interno di se stesso. Sta dentro e fuori di tutto... Niente può sfuggire a Colui che è l'Infinito... Ciò che veniva in luce attraverso le mie ricerche era bene espresso dal profeta: "Dove andare lungi dal tuo spirito, dove fuggire lontano dalla tua faccia? Se salgo ai cieli, là tu sei, se mi stendo all'inferno, eccoti! Se prendo le ali dell'aurora, e vado ad abitare ai confini del mare, là ancora mi guiderà la tua mano, mi afferrerà la tua destra" (Sai 139, 7 10). Non v'è alcun luogo senza Dio, non v'è luogo se non in Dio (...). Ero felice di contemplare il mistero della sua sapienza, e la sua inaccessibilità. Adoravo l'eternità e l'immensità del mio Padre e Creatore. Ma desideravo pure contemplare la bellezza del mio Signore (...). II mio fervore, tradito dalla debolezza della mia mente, restava prigioniero della propria ricerca quando scopertine/coprii nelle parole del profeta questo magnifico pensiero su Dio: " II Creatore si svela, per analogia, nella bellezza delle sue creature" (Sap 13,5). II cielo e l'aria sono belli, la terra e il mare sono belli. L'universo deve alla grazia divina il nome di "cosmo" datogli dai Greci, e che significa "ornamento"... II padrone della bellezza creata non deve forse essere la bellezza di ogni bellezza? (...). Ma quali frutti trarre da una santa intuizione di Dio, se la morte sopprime ogni sentimento, se mette fine irrevocabilmente a un'esistenza esaurita?... La mia mente si smarriva, tremando per se stessa e per il suo corpo. Era angosciata per la sua sorte, e per il corpo in cui abitava e che sarebbe perito con essa, quando, dopo la Legge e i Profeti, venni a conoscere la Dottrina del Vangelo e dei suoi apostoli: "In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di lui... E il Verbo si è fatto carne ed ha abitato in mezzo a noi e noi abbiamo visto la sua gloria, gloria che riceve dal Padre suo come unico Figlio pieno di grazia e di verità" (Gv 1,1 14). La mia intelligenza sorpassò lì i suoi limiti e apprese su Dio più di quanto presentiva. Compresi che il mio Creatore era Dio nato da Dio. Appresi che il Verbo era Dio, e con Lui fin dal principio. Conobbi la luce del mondo... Compresi che il Verbo si è fatto carne, che ha abitato in mezzo a noi... Quelli che lo hanno accolto sono stati fatti figli di Dio, con una nascita non dalla carne, ma dalla fede... Questo dono di Dio è offerto a tutti... È ricevuto dalla libertà che vi trova il suo compimento.

Ma questa stessa facoltà data a ciascuno di essere figlio di Dio si arenava in una fede debole, esitante. Le nostre difficoltà rendono dolorosa la speranza, il desiderio di esaspera e la fede si indebolisce. È per questo che il Verbo di Dio si è fatto carne: per mezzo del Verbo fatto carne, la carne poteva elevarsi fino al Verbo... Senza privarsi della sua divinità, sì è fatto il Dio della nostra carne... La mia anima accolse nella gioia la rivelazione di questo mistero. Per mezzo della carne mi avvicinavo a Dio, per mezzo della fede ero chiamato a una nuova nascita. Potevo ottenere la rigenerazione dall'alto... Ero sicuro di non poter essere ridotto al niente" (S. Ilario di Poitiers, La Trinità, 1, 1 13).

Nella testimonianza di Sant'Ilario troviamo documentata in maniera forte e convincente quella nostalgia che ogni uomo rintraccia nel profondo del proprio cuore. Luomo ha "desiderio e nostalgia di Dio" (FR, n. 24 e 33) perché " il desiderio di verità appartiene", ineludibilmente, al di là di tutte le possibili e colpevoli dimenticanze, "alla stessa natura dell'uomo" (FR, n. 3). È questo il criterio oggettivo che smaschera il volto disumano del nichilismo contemporaneo e di ogni forma di negazione della verità, scaltrita o violenta, gaia o disperata che sia. "Una volta che si è tolta la verità all'uomo, è pura illusione pretendere di renderlo libero. Verità e libertà, infatti, o si coniugano insieme o insieme miseramente periscono" (FR, n. 90).

Invitando ad un'attenta lettura di Fides et ratio, occorre assumere come seria ipotesi di lavoro l'invito che il Papa rivolge a ciascuno nelle battute conclusive dell'Enciclica. "A tutti chiedo di guardare in profondità all'uomo, che Cristo ha salvato nel mistero del suo amore, e alla sua costante ricerca di verità e di senso. Diversi sistemi filosofici, illudendolo, lo hanno convinto che egli è assoluto padrone di sé, che può decidere autonomamente del proprio destino e del proprio futuro confidando solo in se stesso e sulle proprie forze. La grandezza dell'uomo non potrà mai essere questa. Determinante per la sua realizzazione sarà soltanto la scelta di inserirsi nella verità, costruendo la propria abitazione all'ombra della Sapienza e abitando in essa" (FR, n. 107). In quanto far credito a Dio non risulta contrario alla ragione e alla libertà dell'uomo, all'atto di fede cooperano con la grazia divina l'intelligenza e la volontà umane. Le verità rivelate da Dio appaiono dunque vere, non perché la nostra ragione naturale possa esaurirne il contenuto (in questo caso sarebbe la ragione medesima ad assurgere al ruolo di Dio, contro quanto l'esperienza attesta), ma per l'autorità stessa di Dio che le rivela. La certezza della fede, fondata sulla Parola di Dio e sulla Presenza viva di Cristo Risorto operante nel Corpo della Chiesa per mezzo del suo Spirito, è perciò più solìda di qualsiasi conoscenza umana, al punto che, per meglio comprendere, è necessario credere, laddove il decadimento della fede (e la nostra civiltà contemporanea rappresenta da questo punto di vista una drammatica testimonianza) produce un affievolirsi della ragione. *professore di Teologia morale fondamentale alla Facoltà di Teologia di Lugano.